Riesumazione pubblica della salma di Fabrizio De André

L’inizio della manifestazione era fissato per le 15, ma già dalle prime ore dell’alba un numero sempre crescente di persone prese d’assalto ogni metro quadrato disponibile della piazza. Esauriti quelli, i convenuti si assieparono nelle viuzze a essa adiacenti, giù giù fino al porto, alla Foce e al camposanto: un cordone umano che riempiva con il suo vociare quei carrugi che, per natura, preferiscono il bisbiglio in penombra. Se qualcuno in quelle ore avesse potuto sorvolare il centro cittadino avrebbe immediatamente pensato a un gigantesco aracnide impazzito, degno di un b-movie anni Cinquanta o di un altopiano di Nazca.

Quell’adunata, per quanto insolita, era tutt’altro che immotivata. Era l’11 gennaio 2019, ventennale della scomparsa del poeta e musico Fabrizio De André. Per dare modo a ogni appassionato, musicista in erba, paroliere di professione, anarchico nostalgico, presenzialista patologico o semplice curioso di godere a pieno del lascito del Poeta, l’Amministrazione Comunale con lodevole spirito di iniziativa (e grazie al consenso bipartisan delle forze politiche) decise di organizzare un evento speciale che avrebbe messo in ombra ogni altra contemporanea celebrazione: una pubblica riesumazione delle spoglie del Maestro. E se pubblica doveva essere, che lo fosse fino in fondo: in piazza, davanti a un pubblico in trepidazione.

Grazie alla sapiente regia di una società attiva nella produzione di reality show televisivi, venne ideato un programma a dir poco succulento, di cui l’ostensione del feretro sarebbe stato soltanto il culmine emozionale. Dopo il saluto del Primo Cittadino, dell’Arcivescovo, del Presidente della Banca Centrale, di quello della Corte Costituzionale e del Duca di San Teodoro, gli astanti – che avevano nel frattempo incamerato una quantità di saluti sufficiente per i restanti undici mesi e mezzo dell’anno – poterono godere dell’intervento di Fabio Fazio, impegnato in un appassionante parallelo fra l’opera del De André e il pensiero di Walter Veltroni.

Spazio quindi alla musica. I migliori talenti della scena musicale italiana furono invitati a reinterpretare alcuni classici del repertorio deandreiano, ognuno a suo modo e secondo il suo estro: Mario Biondi in salsa swing, Sfera Ebbasta in versione trap, Gigi D’Alessio neomelodico, J-Ax rap, Raffaella Carrà dance e Ramazzotti di merda. Una successione di momenti di forte impatto e quasi nessun imprevisto, se si eccettua un passante caduto morto all’ennesimo acuto di Laura Pausini (ma, per dovere di cronaca, è doveroso precisare che il malcapitato era affetto da cardiopatia) e l’esibizione tenorile de Il Volo, che i più anziani non hanno esitato a paragonare al bombardamento del 1941, tanto per la gradevolezza della melodia prodotta quanto per gli effetti luttuosi sulla popolazione.

Alle 15, il momento tanto atteso. Dopo essere stato prelevato dalla tomba di famiglia e trasportato a passo d’uomo per le vie del centro, dando così modo agli appassionati concittadini di rendere omaggio al Menestrello dalle finestre e dai balconi addobbati a festa (per una volta, senza badare a spese) cingendolo d’allor, il feretro è giunto in piazza, preceduto dai più stretti familiari del Cantautore, e ivi posato sul palco d’onore, rialzato di tre metri a favore di ogni sguardo. Lì, grazie all’alacre opera del becchino (che in quell’unico giorno non ebbe come destino il ricoprir di terra chi riposa in pace, bensì lo scoprirlo), il cadavere di Fabrizio De André venne estratto dalla sua bara e issato al centro del palco. Cadavere, va detto, in ottimo stato di conservazione, per niente vittima dei capricci del tempo, tanto che qualcuno malignò un intervento posticcio atto a rendere quel corpo il più simile possibile al ricordo che il pubblico aveva del Poeta. Né a rovinare la festa servirono le improvide dichiarazioni di un sessantenne di passaggio, certamente un negazionista della peggior guisa, il quale dichiarava di ricordare distintamente il momento in cui, dopo la morte, il Sommo fu cremato e le sue ceneri disperse nel Mar Ligure.

La fila di persone con gli occhi rossi e il cappello in mano in pellegrinaggio per sfiorare la salma del Paroliere e accaparrarsi un lembo dei suoi vestiti era degna dei funerali di Papi e Imperatori. Fortuna che il ticket d’ingresso disincentivò i meno abbienti, come senzatetto o prostitute, altrimenti il numero di persone convenute avrebbe superato i limiti di guardia. In una bancarella improvvisata lì vicino, la vedova Dori Ghezzi distribuiva ai fedeli alcuni oggetti appartenuti al defunto: ciocche di capelli, cicche di sigarette, chincaglierie, cenci che un tempo erano stati abiti e, ai più fortunati, i manoscritti originali delle sue composizioni (una primizia per pochi, perché è noto che il Poeta, considerato un grandioso autore, non ha però brillato né per prolificità né per longevità). Qualche imbarazzo ha suscitato la richiesta di alcuni tra i più ferventi seguaci di potersi cibare di un pezzo del Cantante: con la pacatezza che lo contraddistingue, Beppe Grillo ha spiegato alla folla come questa pratica avrebbe ridotto la salma a un nugulo di ossa dopo i primi venti o venticinque fedeli.

Alle 16 il Sindaco si dovette assentare per un importante impegno istituzionale (poco distante infatti, alla presenza del Ministro dell’Interno Salvini, venne intitolata a Fabrizio De André la caserma del quartiere Bolzaneto), ma questa circostanza non pose fine alla festa. Dopo le emozioni, spazio alla riflessione: dapprima la vedova Ghezzi raccontò al pubblico la frequenza delle sue copule con l’Estinto (quando questi era ancora in vita, è bene precisare), non lesinando particolari anatomici che accesero la fantasia delle comari di quel rione; a seguire il figlio Cristiano rese edotti gli ascoltatori sui problemi psicanalitici che lo hanno attanagliato dopo la scomparsa del padre, posologia dei farmaci compresa; infine la nipote Francesca ballò la polka sopra il muro, con l’unico reale intento di farsi ammirare il (notevole) fondoschiena.

All’ombra dell’ultimo sole l’assembramento cominciò a diradarsi, e alla spicciolata ognuno fece ritorno alla propria casa, in tempo per la finale dell’Isola dei Famosi Vip (che di famosi semplici ormai la tv non se ne fa più nulla). Non era ancora sera e già la piazza era deserta: non un suono, non un microfono, non un gestore della pagina facebook “De André racconta gli interventi in Senato di Maurizio Gasparri”, solo cartacce e resti di patatine fritte. La notte era ormai giunta quando, dal buio dei portici, fecero capolino le note di chitarra suonate – invero piuttosto male – dal vecchio Cicagna, un abituale frequentatore di quei portici (tanto abituale da averli eletti come proprio rifugio notturno in attesa di migliore sistemazione). Con l’unico supporto di un anziano e altrettanto malconcio cane e di quella chitarrina, Cicagna trascorreva le nottate allietando (ma il termine forse è improprio) i passanti con la sua improbabile serenata. Quella sera, forse per unirsi alla celebrazione collettiva o più probabilmente per caso (ché il tripudio pomeridiano lo vide lontano, a fare il bagno alla Foce, e chiunque potrebbe giurare che quell’uomo non avrebbe distinto il martedì dalla domenica), Cicagna attaccò con i primi accordi della Canzone del Maggio resa celebre proprio da De André, ma subito dalle finestre sopra di lui giunse perentorio l’invito a zittirsi, che quello scalcinato canticchiare disturbava la routine televisiva dei bravi cittadini. Cicagna ripose la chitarra in una custodia male in arnese quanto lui e capì che l’unica cosa da fare era anticipare il momento del sonno – l’unico di tutta la giornata che lo rendeva simile al resto dei concittadini – mentre dalle stesse finestre la voce di Alessia Marcuzzi spiegava il meccanismo del televoto, ultimo baluardo di democrazia rimasto nel Paese all’11 gennaio 2019.

Pubblicato in Uncategorized | 1 commento

Pasolini visto da lontano

Willem Dafoe si cala nei panni e nella psicologia di Pier Paolo Pasolini

Willem Dafoe si cala nei panni e nella psicologia di Pier Paolo Pasolini

Forse ci voleva proprio un regista americano per realizzare un film decente su Pier Paolo Pasolini. Forse occorreva un oceano di mezzo per consentire quel distacco, quell’oggettività che in Italia ancora non riusciamo ad avere quando ci accostiamo a quello che è probabilmente il più influente e importante intellettuale del Novecento italiano. Brutto a dirsi, ma non siamo ancora pronti a parlare di Pasolini, divisi in fazioni come da sempre siamo. In un’Italia per cinquant’anni divisa tra democristiani e comunisti, un personaggio disallineato come Pasolini non poteva non risultare urticante a tutti gli schieramenti. Odiato dai cattolici per lo scandalo della sua omosessualità, odiato dai fedeli alla linea del Pci per la sua indipendenza di pensiero (che sfocerà nel suo distaccamento dal Partito), dimenticato o mai davvero conosciuto dagli altri. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , | Lascia un commento

The Wolf of Wall Street (e la dimenticata arte del grottesco)

Jordan Belfort (Leonardo Di Caprio) durante una sobria riunione di lavoro

Jordan Belfort (Leonardo Di Caprio) durante una sobria riunione di lavoro

Che sua maestosità cinematografica Martin Scorsese sia il più grande tra i registi viventi lo si nota anche e soprattutto dalla disinvoltura con cui, superata la soglia dei settanta inverni, continua a provare (e riuscire, ma questo è quasi un elemento secondario) a esplorare territori nuovi, frequentando generi mai affrontati prima in carriera. E così, dopo aver diretto nel 2011 la sua prima favola di formazione con bambini protagonisti nel caloroso Hugo Cabret, per il suo successivo opus il regista newyorkese che da giovane è stato ad un metro dal farsi consacrare nell’ordine dei gesuiti ha scelto un genere per lui inedito: il grottesco.

Il problema è che tale genere a quanto pare è inedito anche per buona parte dei commentatori e dei critici cinematografici che popolano le pagine dei maggiori quotidiani italiani, che in alcuni casi si sono avventurati in critiche tanto più assurde quanto più tese a rimproverare al regista alcuni tratti in realtà coerentissimi con il genere di film realizzato. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , , , | 6 commenti

E se su Checco Zalone avesse ragione Brunetta?

Una scena del campione d'incassi Sole a Catinelle

Una scena del campione d’incassi Sole a Catinelle

Dato che è il caso socio-culturale del momento, ci sentiamo autorizzati a dire anche noi la nostra su Checco Zalone e sul successo senza precedenti raccolto nelle sale dai suoi film, ultimo dei quali Sole a Catinelle. Con un paio di non dovute e non richieste precisazioni preliminari: 1) a chi scrive non importa nulla di apparire radical-chic o snob o qualunque neologismo vogliate inventare per bollare quelli a cui la comicità “del popolo” non fa ridere; 2) chi scrive non considera il consenso di massa in sé un valore, e obiezioni come “se ha successo vuol dire che ha creato qualcosa che il pubblico desidera” verranno immediatamente respinte al mittente prendendo come esempi Berlusconi e Hitler.

Detto questo, se avete letto queste prime righe e nonostante tutto state continuando a scorrere questo articolo, vuol dire che siete intenzionati a sentire motivare un’opinione, ed è quello che tenteremo di fare. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , | 10 commenti

Del perché Luciana Littizzetto è più dannosa di Emilio Fede per la crescita culturale, politica e spirituale degli italiani

Luciana Littizzetto in uno dei suoi monologhi televisivi

Luciana Littizzetto in uno dei suoi monologhi televisivi

Che il salotto televisivo di Fabio Fazio sia diventato un punto di riferimento culturale per tutto un mondo che si riconosce nell’attuale centro-sinistra (senza per forza essere radical-chic, il che tuttavia aiuta) ormai è risaputo. L’estrema debolezza con cui il conduttore-demiurgo gestisce le tematiche affrontate – che spesso meriterebbero ben altro approfondimento ed invece restano tristemente in superficie – anche. Di Fazio è stato detto tutto: buonista, timoroso di ogni conflitto, attento a non inimicarsi l’interlocutore anche a costo di farsi mettere i piedi in testa (esemplare l’intervista a Renato Brunetta di qualche settimana fa, quella della querelle sui compensi del Nostro, in cui Brunetta ha di fatto imposto la scaletta dei temi da toccare). Chi scrive ha sempre avuto l’impressione di un programma non all’altezza dei suoi contenuti, dei suoi ospiti (perché portare in tv gente come Gore Vidal, Mario Monicelli, don Andrea Gallo, Dario Fo, Enzo Biagi, Corrado Guzzanti, Marco Paolini o Sandro Luporini è senz’altro un merito, a patto poi di fargli domande, che sarebbe il requisito base di ogni giornalista). Ma del resto Fazio un giornalista non è; è un anchorman che nasce imitatore, diventa conduttore di successo (il suo Quelli che il calcio era un gioiello, anche per la sapienza con cui lui gestiva i contenuti) e a un certo punto della carriera sacrifica ogni altra avventura televisiva per diventare sacerdote di quel rituale che è Che tempo che fa.

Intendiamoci, non è una colpa scegliere il buffetto amichevole invece del cazzotto. È una linea editoriale, che il pubblico sceglie se sposare o meno. Quello che però è forse il difetto più grande di Fazio sta nella sua capacità di “normalizzare”, rendendoli innocui, anche i suoi co-autori, e in generale tutti quelli che collaborano al suo programma. Anche e soprattutto coloro che prima di entrare in quella cattedrale laica avevano unghie ben più affilate. Continua a leggere

Pubblicato in Uncategorized | Contrassegnato , , , , , , , , , , , | 122 commenti

Rush

Chris Hemsworth e Daniel Bruhl sono James Hunt e Niki Lauda in 'Rush'

Chris Hemsworth e Daniel Bruhl sono James Hunt e Niki Lauda in ‘Rush’

Dopo Frost/Nixon, un’altra storia vera risalente alla fine degli anni Settanta. E soprattutto, dopo Frost/Nixon, un altro duello – a metà tra la partita a scacchi e la tenzone cavalleresca – tra personalità che più antitetiche non si potrebbero immaginare. È un cinema di personaggi che diventano persone quello di Ron Howard, di grandi nomi che nascondono tensioni contrastanti e lati oscuri raramente indagati. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , , , | Lascia un commento

La musica del cinema

http://grooveshark.com/#!/playlist/Movie+Sounds/90283676

Pubblicato in Uncategorized | 4 commenti

The Hangover – la saga

Ed Helms, Bradley Cooper e Zach Galifianakis, il "branco" della saga di Todd Phillips.

Ed Helms, Bradley Cooper e Zach Galifianakis, il “branco” della saga di Todd Phillips.

Dopo aver girato La Dolce Vita si dice che Fellini volesse dare un taglio definitivo con la macchina da presa. Cosa mai avrebbe potuto regalare al pubblico uno che aveva messo in piedi il più efficace e nitido quadro di quella che era e sarebbe stata l’Itali(ett)a dei prossimi 50 anni? Fortunatamente il corso degli eventi prese una strana curva e ne venne fuori il più grande film italiano di sempre, ma questo, come sempre, è un altro discorso.

Di Fellini non ne passano molti, anzi. Però diciamo pure una roba che non vuole sminuire minimamente il regista riminese nato sul treno in corsa: gli anni ’60 erano proprio un bel periodo per sfornare capolavori, di qualunque genere questi fossero. Dylan si muoveva verso il Greenwich Village, gli scarafaggi volavano verso Amburgo con un batterista in meno ma qualche idea da mettere in musica e – diciamocelo pure – nel ventaglio del pensiero umano, qualcosa da dire era rimasto ancora.

Premessa che ha tutta l’aria di essere una ruffianata non necessaria, ma che in realtà si adatta molto al film di cui andiamo a parlare in questa sede. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , , , | Lascia un commento

La grande bellezza

Toni Servillo è Jep Gambardella, protagonista de La grande bellezza

Toni Servillo è Jep Gambardella, protagonista de La grande bellezza

Sorrentino lo sapeva bene. Sapeva che a fare un film sulla vacuità degli appuntamenti mondani della capitale non avrebbe mai potuto scrollarsi di dosso il peso di un paragone insostenibile anche per spalle ormai larghissime come le sue. Lo sapeva, e ha deciso di non negare l’ispirazione, ed anzi di abbracciarla esplicitamente, mantenendo la stessa struttura a blocchi narrativi indipendenti che caratterizzava La dolce Vita, e giocando ad infilare qua e là alcuni divertiti omaggi all’opera felliniana (le monachine che ricorrono per tutto il film, un prete che si diletta su un’altalena che sembra uscita da Lo sceicco bianco, oltre ad un fugace riferimento ad un “enorme mostro marino” come quello che compariva nel finale proprio de La dolce Vita).

Ma sarebbe superficiale ritenere che Sorrentino abbia voluto realizzare una sua versione aggiornata agli anni Duemila del capolavoro di Fellini. Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , , , | 1 commento

Tutti i presidenti del Regista

Josh Brolin è George W. Bush nel biopic di Oliver Stone

Josh Brolin è George W. Bush nel biopic di Oliver Stone

Uno Shakespeare contemporaneo guarderebbe con estremo interesse alle vicende – pubbliche e private – di una figura come il Presidente degli Stati Uniti. Poco ma sicuro. Grandi poteri, grandi responsabilità, e nemmeno il lusso delle debolezze umane da potersi concedere. Al grande bardo (che la politica la seguiva il giusto, impegnato com’era a scavare nell’animo degli uomini) sarebbe piaciuto prendere un Presidente Usa e farne il protagonista di una sua tragedia, in stile Re Lear o Riccardo III.

A noi uomini a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo uno Shakespeare manca. Abbiamo però il cinema e il giornalismo. E abbiamo quei rari casi in cui le due attività coincidono. In Italia la tradizione è consolidata grazie a registi del calibro di Francesco Rosi ed Elio Petri, ma se si fa un salto al di là dello stagno il nome tutelare che viene subito in mente non può che essere quello di Oliver Stone Continua a leggere

Pubblicato in Cinema | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento